Hikikomori: Italia chiama Giappone
Hikikomori significa ritirarsi dalla vita sociale (Fonte wikipedia).
In Giappone il ritiro sociale è un fenomeno molto diffuso tanto da allertare il servizio sanitario nazionale, che da anni ha avviato dei programmi molto efficaci di intervento.
Ci sono molte similitudini tra la cultura tradizionale italiana e quella giapponese: la famiglia è ancora un collante molto importante della coesione sociale.
In Italia il fenomeno non ha ancora assunto proporzioni allarmanti, ma vista la diffusione e l’importanza che internet riveste nella nostra vita quotidiana, sarebbe meglio rifletterci un po’ su e soprattutto intervenire in tempo.
Una fobia sociale molto particolare
Il quadro sintomatico che presentano questi giovani pazienti è collocabile nello spettro dei disturbi d’ansia.
Esso è indotto dall’esposizione a determinate situazioni interpersonali o di prestazione in pubblico, in cui la paura di essere criticati è legata al forte desiderio di dare una buona impressione agli altri.
Se si pensa a quante situazioni della vita scolastica di un adolescente siano legate a questo genere di prestazioni, abbiamo la misura di quanto possa essere invalidante questo disturbo.
Di frequente comincia con una fobia scolare. All’inizio diventa letteralmente impossibile persino varcare la soglia del cancello della scuola, nonostante gli interventi normativi dei genitori.
Il gruppo classe diventa fonte d’ansia. Difficile sostenerne lo sguardo perchè è percepito come critico, espulsivo e mortificante. La classe è minacciosa perchè è molto differente dallo spazio accogliente e protettivo della famiglia.
Che cosa deve allarmare i genitori
All’esame clinico i soggetti affetti da hikikomori si presentano ben orientati nello spazio e nel tempo. Sono ragazzi loquaci, hanno bisogno di parlare.
Sintomi:
- ansia
- ritmo circadiano alterato (scambiano il giorno con la notte)
- grande fragilità narcisistica: si sentono brutti (dismorfofobia) e evitano di incontrare gli altri (ritiro sociale)
- vissuti di vergogna espressa attraverso manifestazioni fisiche: pallore, rossore, sudorazione, tremore, balbuzie, tachicardia
- impotenza: forte senso di autocritica, esaltazione o invidia degli altri, scarsa fiducia nelle proprie risorse
- confusione
- dipendenza da Internet
La dipendenza da internet maschera un disagio
Proprio quest’ultimo sintomo ha assunto proporzioni allarmanti quindi è bene dilungarsi un po’ nella sua descrizione. Essendo il più vistoso, recepisce gli attacchi normativi dei genitori che identificano il male nella Rete, non cogliendo il fatto che compensa un disagio più profondo.
Sono genitori nostalgici in un perenne confronto tra un passato idealizzato (“ci bastava una bicicletta per divertirci!”) e un presente svalutato (“fuori è pieno di pericoli!”), che nella loro ricerca di soluzioni cedono a stereotipi del tipo: “è colpa di Internet e della Playstation!”
Nella realtà virtuale si gioca e si comunica senza corpo, il protagonista del ritiro sociale. Si interagisce senza essere esposti allo sguardo giudicante dell’altro. Protetti da un identità virtuale non ci si mette alla prova nelle situazioni sociali per fare i conti con la vergogna. Confrontarsi con quest’emozione in adolescenza gioca un ruolo fondamentale per la crescita.
Bisogno di Rete, bisogno dei coetanei
Allora è opportuno chiedersi che bisogni soddisfino la Rete, i giochi virtuali o le chat. Questo è un mondo dinamico e variegato, che riempie di vitalità lo spazio ristretto della cameretta-guscio.
Partiamo dall’ovvio: è una necessità della mente umana vivere in un ambiente ricco di stimoli. La Rete è l’ambiente da cui la mente dell’adolescente che si è sottratto alle relazioni, trae nutrimento.
La navigazione in Rete, infatti, sostituisce il bisogno di vivere in mezzo agli altri:
- è la gabbia che racchiude un corpo sconosciuto, perché sta cambiando velocemente e questo ai ragazzi, sebbene non siano tanto disposti a parlarne, fa molta paura;
- è un rifugio immaginario dove poter fuggire per difendersi;
- è un mondo parallelo più attraente e meno minaccioso di quello relazionale.
La noia che segnala il distacco
La tematica centrale in questa fase del ciclo di vita è la nascita sociale di un nuovo soggetto.
Precedentemente alla fase del ritiro questi ragazzi appaiono lontani dalla loro generazione, lontani dalle mode, dai riti di socializzazione dei coetanei, in totale assenza o scarsità di relazioni amicali.
Alcuni di loro si attardano nel mondo dell’infanzia, altri sono precocemente proiettati verso il mondo degli adulti. Alcuni, per ottenere riconoscimento e valorizzazione, si buttano a capofitto all’inseguimento di prestazioni scolastiche eccellenti, altri diventano oppositivi e si disinteressano allo studio.
In adolescenza si prova un crescente sentimento di noia e distacco per il mondo famigliare: non si desidera più nulla, questo mondo ha perso interesse e valore. L’incontro con la noia è un segnale che è giunto il momento di trovare nuove soluzioni funzionali alla crescita.
É questo il momento in cui strategie normali sono il sodalizio con l’amico del cuore e l’entrata nel piccolo gruppo di amici dello stesso sesso, “aiutanti magici” con cui affrontare l’avventura verso l’ignoto.
Crescere in casa nel territorio dei genitori
Negli Hikikomori le strategie di cui parlavamo non hanno la forza di interrompere la sosta forzata nell’ambiente famigliare. Seppure scompaiano i genitori dalla narrazione, gli adolescenti con ritiro sociale non parlano volentieri dei coetanei e delle relazioni che con loro non si sentono in grado di intrattenere.
Parlano di corpo ma un corpo lontano dalla mischia e dal sudore, parlano piuttosto, dell’immagine ideale di un corpo: per loro è più facile identificarsi con i modelli del mondo dello spettacolo: cantanti, calciatori e veline.
Sembrano non prendere affatto in considerazione quanto i ragazzi abbiano bisogno gli uni degli altri per crescere. Spostano l’attenzione su cose che li stanno interessando nel momento presente: giochi virtuali, oggetti di culto; solo se incalzati parlano dei loro coetanei con cui, comunque, dicono di avere poco o nulla in comune.
Prediligono confrontarsi su argomenti intellettuali, discorsi da adulti seriosi, esperienze prese a prestito per dimostrare il loro valore. Parlano in terza persona perché sono osservatori non coinvolti, sono spettatori che desidererebbero essere protagonisti.
Le loro parole ci parlano della distanza che hanno messo tra sé e il mondo. L’altro è una minaccia perché ancora non hanno avuto il tempo e l’occasione di scoprire che può essere una risorsa.
Pollicino non vuole andare nel bosco
Quando l’emergenza è ormai scoppiata, sulla scena vediamo la mamma irritata e preoccupata dalle continue assenze da scuola o dalle giornate passate davanti al computer che comincia una guerra più o meno fredda col suo giovane rampollo.
Il mondo ovattato infantile si allontana rapidamente sull’onda dei tentativi di impedire il ritiro dall’esposizione sociale: sovente minacce come “Ti stacco la spina!” sono accolte da reazioni di rabbia per espellere la madre dai confini della cameretta.
Il ragazzo alle strette reagisce con forza e violenza, ma non rinuncia a dipendenza e attaccamento infantile. Accetta di crescere in una sospensione che rimanda le scelte di socializzazione e di costruzione dell’identità.
Al contrario degli altri coetanei in cerca di esperienze al di fuori del nido, si sperimentano i gesti e le azioni adolescenziali in prossimità dei genitori nelle frequenti tregue che rimandano il momento della separazione.