O partigiana, portami via…
Io sono partito per la montagna partigiano delle biciclette.
Nello zaino un pattada una Mela mezza marcia e pane di tre giorni con l’odore di parmigiana.
Guardo le donne che mi passeggiano a fianco e spandono tutt’intorno il loro potere di riconciliazione.
I fianchi addolorati da millenni di patriarcato, le braccia forti per quanti bimbi hanno sollevato nelle loro giovani o consunte vite, i seni enormi come l’amore accudente che esprimono anche preparando la macchinetta del caffè o rammendando i calzini perché buttarli è peccato.
Questa volta mi beccano lo sento, i tedeschi fanno il loro lavoro di soldati. A volte dietro quegli occhi azzurri di bestie armate scorgo quel briciolo di umanità che ancora ci rimane.
Io porto lettere mi salvo la coscienza, faccio uccidere gli altri a me fa schifo. Non mi sporco le mani ma l’odore di morte è anche il mio, mi è penetrato così in fondo alle narici che i fiori di campo non profumano più.
Sono un cadavere che s’inerpica nei sentieri, sfuggendo alla barbarie della linea gotica. So scrivere. L’arma che corre sulla carta e ordina la morte in un’imboscata di un ragazzino biondo lontano da casa a cui manca la mamma, una mutilazione ad un padre di famiglia con dei figli da sfamare laggiù al Nord. In una guerra siamo tutti colpevoli, tutti morti, tutti fucilati, chi rimane chi torna a casa perché è stato risparmiato dalla crudele sorte che ci vuole assassini o santi, nemmeno più capaci di soffrire.
Questo è l’uomo? Questi sono gli eroi? E le prostitute ragazzine che allontanano per l’attimo dell’orgasmo i soldati assetati di vita dall’orrore della guerra non sono forse più valorose dei generali d’armata che mangiano pasti caldi giocando alla guerra finta sulle mappe?
Sono nato senza virgole e questa vita non la capirò mai!
Ma il giallo delle mimose mi fa ancora piangere di disperazione, quando ho il tempo di riposare gli occhi che guardano la vallata alla ricerca di un fantasma che mi faccia compagnia.
ARRIVEDERCI!