Quando la sedia si riempie di vuoto e diventa calda.
In questo post assisterai ad una seduta come se fossi accanto a me nel mio studio.
L’immaginazione rimane una materia fluida e impalpabile se non la si àncora in uno spazio e in un tempo definiti.
Friederick Perls, il caposcuola della Gestalt, ha ideato una tecnica, ispirata allo psicodramma di Moreno. Egli credeva che le persone fossero portate a parlare intorno alle cose evitando di esprimersi in modo diretto. Parlando direttamente a qualcuno, è più facile accedere alla dimensione emotiva delle esperienze. Così si evitano le spiegazioni intellettuali, le giustificazioni razionali del comportamento, freddamente scientifiche.
Ecco perchè la sedia scotta!
La psicoterapia è un non sapere: si sa da dove si parte e non dove si arriva. La bussola che orienta è il proprio sentire sul quale il terapeuta non esercita una funzione giudicante, ma offre un sostegno etico e affettivo.
Come funziona la psicoterapia della gestalt: la sedia vuota
Nel setting della psicoterapia della gestalt, oltre la sedia del terapeuta e del paziente, ce n’è una terza su cui “siedono” via via gli interlocutori problematici del paziente. Dialogando con questi interlocutori, esterni o interni che siano, si dà vita ad un’interazione. Il lavoro riguarda la relazione tra il paziente e parti di sè interpretate da lui stesso.
Immedesimandosi nelle parti di sè che emergono, si può scendere fino al sostrato emozionale dove si è strutturato il comportamento disfunzionale.
Il terapeuta accompagna il paziente a rintracciare e risentire nel momento presente le emozioni che alimentano tali comportamenti. Quando si riesce a mitigare dolore e paura, la persona può costruire un senso del suo essere nel mondo più funzionale ai suoi scopi e ad ai suoi bisogni e più rispettoso di sè. Contattare e sostenere le emozioni è come imparare a domare cavalli selvaggi: non sempre, soprattutto all’inizio, li si può dirigere dove si vuole.
La parte in ombra del conflitto
“Siamo una sola moltitudine” F. Pessoa
L’assunto di fondo è che le persone sono una pluralità molteplice, le cui istanze possono entrare in un conflitto stagnante diminuendo la vitalità. Generalmente il conflitto è percepito con qualcuno o qualcosa esterno alla persona. La sedia vuota è una tecnica molto efficacie che consente di rendere visibile la parte in ombra nell’interazione tra i personaggi interni. Recuperando le energie che si liberano dal conflitto si può vivere una vita di maggiore qualità, consapevoli che la sofferenza è una parte importante della vita. Non prendersene cura, lasciandola in ombra può solo farci sentire in balia degli eventi e inermi. Non guardare nell’ombra è un po’ come spazzare una stanza e nascondere la polvere sotto il tappeto. Prima o poi tutta la stanza sarà di nuovo invasa dalla polvere.
Consulenza ad una madre
“Le nostre storie cliniche sono un modo di fare narrativa” – J. Hillman
Vedo Licia per la prima volta in consulenza. Ha 36 anni viso dai tratti dolci, un po’ corrucciato. Voce profonda, si esprime in modo un po’ incerto, imbarazzato, pesa molto le parole che escono dai denti stretti.
É preoccupata per la sua unica figlia Naomi di cinque anni: la bimba si masturba frequentemente, sotto le coperte suda e diventa rossa. Consultandosi con le maestre ha provato a distrarla, a starle vicino prima che si addormenti di sera. Ha un atteggiamento molto comprensivo, non condanna moralmente il comportamento di sua figlia.
Provo ad indagare nell'”educazione sentimentale” di Licia, ipotizzando che ci possa essere qualche perturbazione nella sfera sessuale, ma non trovo particolari inibizioni. Le chiedo in modo diretto se la bimba possa avere assistito a scene di sesso esplicito, o possa essere stata turbata da costumi sessuali licenziosi. Al contrario i partner sono molto attenti: di solito hanno rapporti quando la bimba è a scuola. Sebbene si vedano poco, la bimba e il padre hanno un legame forte. Lui lavora tanto, fa il pizzaiolo. Quando ha tempo e non è stanco, gioca entusiasticamente con la bimba. Io non ho l’impressione che Licia sia gravata da segreti difficili da nascondere. Anche a scuola non è successo niente di particolare, non c’è motivo di credere che Naomi sia stata esposta dai compagni più grandi a precoci esperienze sessuali.
Abbandono il timore di qualche abuso sul minore che mi aveva spinto a fare molte domande. Seguo il mio intuito dopo che ho sondato le espressioni del suo volto ad ogni sua risposta e lascio recedere sullo sfondo l’ipotesi di un clima incestuoso o della presenza di un abuso e condivido con lei la mia tranquillità nel definire questo comportamento di pura esplorazione sessuale. Chiarisco che i bambini sono come delle spugne emotive e a volte se manifestano un comportamento “insolito” può essere frutto di qualcosa che accade nella coppia.
“Lei scarica la tensione così” dice Licia” da quando abbiamo avuto problemi in famiglia.” Il marito ha una storia di dipendenza da sostanze e dal gioco alle spalle. Il consumo si è accentuato quando hanno avuto problemi economici: hanno venduto una pizzeria per i debiti contratti. In seguito lui è stato condannato per possesso di stupefacenti ed è stato recluso per quasi un anno.
Per lei è stata durissima sopravvivere senza un lavoro, grazie solo agli ultimi risparmi. Una motivazione combattiva le ha permesso di occuparsi dei creditori e delle questioni legali relative alla pizzeria, di non lasciarsi schiacciare dal peso delle difficoltà. Ricorda con nostalgia che quando Naomi era molto piccola, lavoravano uniti, fianco a fianco nella piccola pizzeria d’asporto. Un’immagine di felice e concreta realizzazione che dipinge con gli occhi altrove e la gola strozzata. Adesso è preoccupata per suo marito, ha assunto un ruolo che non le piace. Controlla i suoi movimenti come farebbe una mamma con un adolescente irrequieto, lui fugge. Fa la casalinga ma vorrebbe un’indipendenza economica.
La risento dopo qualche tempo e mi richiede una psicoterapia. I primi colloqui sono incentrati nell’ambito lavorativo. Il suo desiderio di indipendenza economica costituisce una solida base per un progetto di autonomia.
Coltivare le intenzioni
Nelle psicoterapie umanistiche entra in gioco l’umanità del terapeuta con le sue intenzioni. Non ci si muove in un’ottica di salute o malattia, sono i comportamenti che sono giusti o sbagliati in relazione agli scopi che ci si prefigge e ad una tessuto etico imperneato sui valori umani. Per esempio dimostrarsi aggressivi non è socialmente desiderabile, ma in alcune situazioni può essere necessario esserlo per non essere sopraffatti. In altri contesti invece può essere controproducente.
É importante non essere governati dalle emozioni e dall’automatismo di certi comportamenti, ma scegliere di volta in volta quali ci fanno sentire dalla parte giusta.
In seduta
Un consiglio per la lettura: liberate l’immaginazione non tentate di capire, ma chiedetevi: Che effetto mi fa questo passaggio, che cosa provo, ora? Che farei al posto di Licia? Così avrete fatto un po’ di lavoro su voi stessi.
Nel testo T=terapeuta, P=paziente. In corsivo e tra parentesi alcune chiarificazioni teoriche o commenti agli interventi del terapeuta.
Grosso sospiro
Allora…
T: Allora?
P: In questa settimana abbiamo delle novità quindi va meglio.
T: Quali novità?
P: Il lavoro…finalmente un po’ d’impegno nella vita. Mentalmente sono più impegnata. Ho anche meno tempo per pensare. Io penso troppo. E poi mi sento anche più utile al mondo.
T: E a te stessa? In cosa ti senti utile a te stessa?
P: Intanto il fatto di fare una cosa proprio nuova, non è il solito lavoro pratico, manuale. Già il fatto di affrontare una cosa nuova mi dà la carica: c’ho provato, mi sono buttata una volta tanto e sta andando bene. Siccome c’è sempre il rovescio della medaglia, devo trovare il negativo in tutto poi mi rendo conto di quanta gente più in gamba di me c’è. Tutti laureati intorno a me e io mi sento inferiore. Dico: Cavoli mi potevo laureare anch’io! Mi sono fatta quattro anni di università e non mi sono laureata…
T: Quattro anni di università facendo cosa?
P: Di tutto. Quattro anni di università in tre facoltà diverse: un anno di Chimica farmaceutica, un anno all’accademia di belle arti, due anni al Dams.
T: Hai fatto qualche esame, hai trovato qualcosa d’interessante?
P: Si. Al Dams ho trovato molti esami che mi piacevano, anche all’accademia però poi non sono mai stata una studentessa modello. Appena ho trovato le prime difficoltà mi sono arenata… sono stata più di un anno senza dare un esame. Mi dovevo divertire, ero uscita fuori di casa. Poi quando ho cominciato a dare gli esami e avevo trovato il ritmo giusto, ho conosciuto mio marito e ho cominciato a lavorare con lui. In quel momento avevo un esame difficile, molto mnemonico: arte medievale…date, papi. Ho trovato la scusa e non ho continuato con l’università.
T: E cosa ti piacerebbe cambiare riguardo alla tua carriera universitaria?
P: Se andassi avanti? Mi riscriverei prenderei una mini laurea. Però non so se riuscirei.
T: Se non ci provi non lo sai.
P: Se non ci sono riuscita allora, ero più libera non avevo impegni, ero fresca di studi. Sto vedendo anche ora che rispetto a chi continua a studiare vedo che c’è differenza. Come se fossi un po’ invecchiata. Per esempio la ragazza che lavora con me, c’arriva prima sulle cose, ricorda più facilmente. Già erano problemi che avevo quando ero più giovane… Adesso…
T: Quindi devi riprendere un po’ il ritmo, è questione anche di allenamento. Ora qui con me t’interessa ricevere un aiuto per tentare di realizzare questo desiderio?
P: Si. Questo è il dramma della mia vita: immagino di fare le cose e poi non le faccio.
T: OK. Una situazione concreta in cui hai immaginato di fare qualcosa che poi non hai fatto e te ne sei pentita.
P: Anche se ripenso a quando lavoravo per i fatti miei…Va bene anche qualcosa di banale?
T: Meglio qualcosa di semplice, apparentemente banale!
P: Per esempio: ti dicevo che mi ero informata di quel corso di assistente alla poltrona…
T: Aspetta. Quando parlo di lavorare su una situazione intendo dare vita ad un dialogo fra personaggi perchè gran parte dei problemi che ci affliggono sono relazionali. Facciamo fatica a metterci in relazione con personaggi che rappresentano parti di noi in conflitto tra loro. Così perdiamo il contatto con gli scopi, le nostre fantasie e i desideri non hanno sufficiente energia per realizzarsi. Immagina che su questa sedia ci sia qualcuno…
P: Quindi vorresti sapere un episodio…Ad esempio tutte le volte che …
T: Non tutte le volte che ma quella volta in cui…Mi viene in mente la ragazza di cui parlavi prima, forse immaginare qualcosa di già successo ti può aiutare. Faccio la fantasia che ti suscitasse un po’ d’invidia.
Si però invidia buona nel senso che se mi metto nei suoi panni…
(L entra in una dimensione sognante, ponte per un dialogo incentrato sulle istanze rappresentate dalla parte di sè denominata Francesca)
P: Io ti ho chiesto di scrivere e mi sono resa conto che il tempo che impiego è molto più del tuo. Io mi limito a scrivere, tu risolvi problemi. Io non c’arrivo a quale strada può risolvere il problema, a te invece viene naturale. Io sono invidiosa. Vorrei essere come te, Francesca.
T:…e lei che risponde?
P: La colpa non è mia. Ti potevi impegnare di più, non ci vuole la laurea, ci potevi arrivare anche tu a fare le cose che faccio io.
T: Che cosa senti Francesca? Lei ti ha detto che apprezza le tue doti.
(T accompagna Licia nell’esplorazione della parte di sè denominata Francesca spingendola a formulare la sua severa opinione in modo più possibilista)
P: Sono contenta. Però penso che sono doti che potrebbe sviluppare anche lei, se s’impegnasse.
T: Quindi secondo te non s’impegna per questo non riesce.
(T sposta l’attenzione sull’esperienza: un vissuto è molto diverso da un pregiudizio)
T: Vai di là. Che cosa senti?
P: Mi da fastidio che me lo dica, anche se ha ragione. Lo so ma non voglio sentirmelo dire.
T: Fastidio è parente a incazzatura. Dicevi che non vuoi sentirtelo dire. Come puoi fare per non sentirtelo dire?
(T si appella al senso comune in base al quale non basta tapparsi le orecchie per non sentire una critica, indicando che si può farne qualcosa)
P: Potrei impegnarmi per esempio. Se m’impegno posso dire: là arrivo, se non lo faccio non lo so. Però mi da fastidio lo stesso.
(L continua a sentire fastidio, accetta di mettersi alla prova, ma si dissocia dal processo incupendosi, assumendo una postura chiusa, resistendo al dolore e rimanendo incagliata nei suoi stessi schemi)
T: Dal punto di vista esistenziale il fastidio può pungolarti. Si è spostato qualcosa: all’inizio della breve esperienza che hai fatto c’era un pensiero assoluto: valgo di meno, adesso è già più articolata la storia: valgo di meno se non mi metto alla prova. Non ho la possibilità di dimostrare quanto valgo se non agisco. E che effetto ti fanno le mie parole?
(T fa il punto della situazione con una riformulazione concettuale che tenta di mettere il fastidio in una luce funzionale al soddisfacimento del bisogno in questione…)
(lunga pausa) Non lo so.
(…ma l’intervento ha scarso successo)
T: Allora immagina!
P: In che senso immagina? Io sono come i bambini mi devi spiegare tutto.
(L brancola nel buio e pretende sostegno )
T: Sapere è legato ad un tipo di conoscenza astratta dal contesto, l’immaginazione è concreta, è la sintesi visibile di sensazioni ed emozioni, è un tipo di conoscenza legata al corpo. Il sentire emerge grazie all’ascolto di sè. Adesso si tratta di ottenere qualcosa da Licia che ho la fantasia che punti un po’ i piedi. Dì qualcosa a Licia per stimolarla ad agire e impegnarsi.
(Entra in scena un nuovo personaggio. Il dialogo ora si svolge tra L adulta e L bambina. T offre sostegno sotto forma di una chiarificazione concettuale e riporta con una fantasia l’attenzione sul dialogo con se stessa.)
Se t’impegnassi non sentiresti più questo dolore.
T: E’ proprio questo in cui si perde, dalle una mano…
P: Ma non so che mano le devo dare.
T: perchè non lo immagini…
(Immaginare l’altro è sinonimo di empatia. In un approccio empatico si comprendono i punti di vista dell’altro e se ne riconoscono i bisogni. T è intenzionato a portare L a dare sostegno alla parte di lei che soccombe sotto il peso di un dovere impersonale)
P: Praticamente di cose da dirti ce ne sono tante che potresti fare, come per esempio studiare. Ma come ci devi riuscire non lo so. Come devi superare questa pigrizia… io non lo so come potresti fare.
T: Chiediglielo e vediamo cosa risponde.
P: Alla fine non ci vorrebbe tanto…se tu avessi avuto voglia e non fossi stata così pigra, ad esempio, il computer lo sapresti usare benissimo, come se avessi fatto un corso d’informatica, perchè tu il computer ce l’hai da quando avevi quindici anni. Hai avuto affianco una persona che il computer lo sa usare benissimo e non hai mai voluto usarlo. E vabbè lasciamo stare. Adesso sei stata spronata, hai avuto tutte le indicazioni su come fare ma non ti sei mai impegnata.
(L non chiede alla sua parte più debole di che cosa abbia bisogno per uscire dal pantano, ma pretende impegno rivendicandolo irritata)
T: Licia, che stai facendo adesso, le stai dando una mano? A me sembra che la stai colpevolizzando. Vediamo lei che risponde…
P: Hai ragione. Mi impegnerò di più.
T: Vedi che dice bugie per accontentarti. Che cosa senti mentre dici bugie?
(Difficile rendere nel testo da che cosa T desume che sta dicendo bugie. Chi si sente in colpa vuole evitare una punizione e per sottrarsi al peso evita un confronto responsabile con l’interlocutore)
P: Non mi piace, non provo nessuna soddisfazione. Mi sento in colpa.
Alla fine è sempre stato così mi sono sempre giustificata con me stessa e così non sono mai arrivata a niente.
(L esce dalla dimensione creativa del dialogo con se stessa con una nuova consapevolezza inserendola, però, nel vecchio schema paralizzante che non ammette vie d’uscita.)
T: Sei venuta qui per cambiare. Lei ti dice bugie per svincolarsi un po’ perchè si sente in colpa, un po’ per evitare di soffrire. I bambini nel dolore vanno consolati. Che cosa puoi dirle per consolarla, sperando che lei non continui a dire bugie.
(Se le bugie non sono sostenibili lo sarà la consolazione.)
P: Ti dovrei dire una cosa che non penso. Va tutto bene.
T: Adesso inizi a dire bugie anche tu!
P: Eh si (ride)!
T: Siamo veramente abituati a consolarci con le bugie. Io le direi: Guarda che la bua ti può fare male tanto adesso. La bua non c’è per sempre, passa e lascia spazio per altre cose: piccoli piaceri, grandi gioie, e ancora qualche dolore. Poi magari cercando la compagnia di qualcuno la puoi condividere. E se cammini e vai avanti nella vita puoi fare una tua collezione di stati d’animo di dimensioni e qualità differenti: quadrati, rotondi, quelli colorati, quelli grigi, quelli che hanno senso e che non ce l’hanno. Così cresci conoscendo un bel po’ di cose di te che ti aiutano ad orientarti nel mondo. E che cosa provi per questa bimba che mente per evitare di soffrire?
(T si avventura in un doppiaggio mettendosi nei panni di L bambina e proponendo un suo modo di trarre vantaggio dal dolore attraverso la consolazione e su una base storica: le emozioni se ascoltate e “collezionate” veicolano senso, fuori dal fiume della storia personale rimangono eventi isolati, difficili da immettere nella trama della propria vita per conferirle coerenza.)
P: Ancora dolore e insoddisfazione, come se non mi consolasse fino in fondo. Non riesco a pensare al futuro, questo dolore è sempre presente.
(L non vede la sua bimba, il suo dolore è sempre in primo piano)
T: I dolori, gli stati d’animo vanno e vengono ma sono diversi perchè sono diversi i contesti. Se ci pensi sono dolori giganteschi e insopportabili, se li senti e li collochi in un contesto specifico, impari a vedere che hanno caratteristiche e pesi differenti. Io ho tentato di consolare la tua bimba a modo mio. Anche per me il dolore è una tematica molto importante. Adesso prova a farlo in un modo che ti sembra più efficacie. É la tua bimba che punta i piedi. Sei mamma! Quante volte ti sarà capitato…Nel bambino interiore c’è il motore della gioia. Sai come sono i bambini che si entusiasmano, emoziona vederli che s’innamorano subito di qualcosa che gli adulti con poca memoria considerano una sciocchezza.
(Un’emozione necessita di un contesto per esprimersi. T tenta di riaprire una via percorribile con una sequenza lunga, e infine richiama L ad un’esperienza per lei familiare: la consolazione che come mamma può dare a sua figlia Naomi.)
P: Tu dici che mi basterebbe poco per consolarla…
T: Poco o tanto se non lo fai non lo sai.
P: Non ci riesco. Più penso a cosa dire e più non sento niente.
T: Ti sei un po’ anestetizzata, questo è un modo per non sentire il dolore. Allora tentiamo di dare voce a quello che lei vuole. Vediamo se lei riesce a farti emozionare di nuovo. Perchè dici le bugie a Licia?
P: Perchè so che ha ragione e io non mi voglio sentir dire quello che è vero e per farla stare zitta le dico che mi impegnerò di più.
( La vittima s’identifica con l’aggressore, in questo modo L non sente l’aggressività e si paralizza.)
T: Dimmi la bugia più grande che le hai detto, quella più creativa.
(T vede nelle bugie l’unico elemento dinamico emerso e decide di supportare quella che valuta come una risorsa di L bambina)
P: (Ride). Magari tante volte le dico delle bugie ma…
T: E rispondimi ti prego: la palla più grande. Spari le palle ai tuoi genitori per fare quello che vuoi? Raccontami una bella palla, una palla divertente.
P: No, mi vergogno. Eppure ne ho dette assai di palle ma non me ne viene in mente nessuna.
T: E inventatela adesso recuperando il sapore che avevano…
(L non abita la distanza fra sè e il personaggio di L bambina, il che implicherebbe una complementarietà tra L e L bambina. T tenta di salvare il salvabile e si mette in prima persona in una posizione provocatoria allo scopo di consolidare l’alleanza tra L adulta e L bambina. La consolazione non è al momento un progetto integrabile.)
P: E me ne viene una banale: raccontavo che andavo a studiare da un’amica e invece uscivo col fidanzato colla moto, oppure dicevo che stavo in un posto e invece mi trovavo a cinquanta chilometri.
T: Bene…recitalo! Come facevi?
P: Mamma stasera devo andare a un compleanno, non so che cosa regalare, prendo la bottiglia di whisky dalla vetrinetta di papà. Poi invece uscivo con l’amica e ci andavamo ad ubriacare tutte e due. Ma che palle si dicono da piccoli?
T: Guarda il ciuccio (l’asino) che vola! É sempre stato molto attraente per me perchè io alzavo il naso e m’immaginavo sto ciuccio con le ali su nel cielo. Quando dici le bugie ci devi credere. Se vuoi creare una realtà vera anche per il tuo interlocutore lo devi dire con animo. Ti prego inventa una palla stratosferica. Dobbiamo aiutare sta bambina a svincolarsi da sta rompicoglioni.
P: Non ci riesco.
T: Allora si vede che ti sei calata talmente nella parte che stai dicendo palle pure a me.
P: Ti giuro non mi viene niente.
T: Ma chi ci crede. Stai dicendo palle ma non sono credibili.
P: Forse non sono normale…
T: Questa già inizia ad essere una palla credibile. Non sono normale e poi?
P: Io sto dicendo la verità però.
T: Che palle Licia! E adesso cosa senti?
P: Niente
T: Come niente? Quello che ho visto io è che ti sei divertita!
P: E pensavo a qualcosa di più profondo, di più pesante…
(La schermaglia giocosa fa emergere un’ideologia di fondo che limita L nella gestione del conflitto interno: L non apprezza entrambi i lati della polarità pesante-leggero.)
T: Proprio così di più palloso (con tono sarcastico). Forse ti devi tirare fuori dai pasticci con qualcosa di più leggero. Per ora può essere un utile suggerimento.
P: Si mi sono divertita. Anche se non riesco a capire perchè a me non viene in mente niente.
T: Perchè vuoi pensare.
P: Come faccio a non pensare?
T: Immaginando.
P: Forse non sono capace.
T: E’ un’attività innata anche gli animali sognano. L’immaginazione è vicina al sogno. La creatività viene dal sogno, dalle visioni che uno ha. In un fumetto ho letto che bisogna avere il coraggio delle proprie visioni. Se un po’ ti sei divertita adesso ti potresti esercitare a inventare quello che ti va: inventare bugie o opere d’arte non è poi così differente.
Commento
Le bugie, se non le si giudica moralisticamente, sono una chance in più per la sopravvivenza. Licia colpevolizza molto la sua parte bambina spontanea e ricca di risorse che sa di volere qualcosa ma non sa come ottenerlo. Quando invece a giudicarla è una collega di lavoro sembra prendere distanza da sè e diventare più equanime. All’inizio si cala nella finzione del monodramma (sedia calda) con una dinamica genitore-bambino mortificante. Il dolore è in primo piano e non lascia spazio alla consolazione. Allora decido di entrare in una schermaglia giocosa dove parteggio apertamente per le bugie-risorse nel tentativo di evocare una risposta positiva in L nei confronti di questa istanza negata. Emerge una ideologia che limita la visuale di L nella ricerca di elementi utili alla interiorizzazione del conflitto. Non interiorizza entrambi i poli dell’asse pesante-leggero giudicando che: pesanti sono i comportamenti seri e responsabili da adulti, leggeri ed inutili sono i comportamenti infantili come dire bugie. Il divertimento sperimentato da L alla fine della schermaglia costituisce un feedback positivo sulla direzione da prendere: il cuor leggero aiuta la creatività.