“L’altro sono io.” [J.P. Sartre]
Certe storie hanno scritta la parola fine già dal principio
Tutte le storie sono destinate a finire, ma alcune sono la “Cronaca di una morte annunciata”. Il romanzo di Gabriel Garcia Marquez si conclude con Ángela e Bayardo che si rincontrano dopo diciassette anni, quando Bayardo si presenta alla porta di lei con una valigia ricolma di lettere, mai aperte, che la donna gli aveva incessantemente scritto in tutti quegli anni nella speranza di essere perdonata.
Le lettere, soprattutto quelle d’amore, andrebbero sempre lette, andrebbe sempre colta l’opportunità donata da un “ti amo”, un “ti voglio bene”, ma anche da un modesto “mi piace di te…”.
Dove portano queste parole che grondano dai romanzi d’appendice come miele stomachevole?
Per quali sentieri ci conducono strane storie che conserveranno il loro fascino immortale, finchè ci saranno due ragazzini accoccolati sul muretto del parco come i gatti sotto la luna estiva?
Agli sguardi imbarazzati dei due acerbi confidenti intenti a rompere il ghiaccio per rinfrescare una bibita da condividere.
Oppure di metafora in metafora…A tastare il terreno in cerca di punti che ci orientino quando approdiamo in un territorio sconosciuto, quello dell’altro, in attesa di costruire una mappa che lo disegni dentro di noi.
La mappa non è il territorio
La mappa è la rappresentazione mentale delle differenze che siamo in grado di cogliere nella realtà.
La rappresentazione della realtà non coincide con la realtà stessa: quest’operazione serve a ridurre la complessità del tutto, il territorio. Questa differenza e le distinzioni che ne conseguono, diventano informazioni disponibili quando le separiamo dal tutto. Una volta distinte da uno sfondo indifferenziato, le organizziamo in forme che portano senso grazie al “filtro creativo” del processo mentale.
Le mappe costituiscono l’immagine statica di un territorio, che viene spiazzata continuamente dall’incessante dinamica del sistema ambientale.
Per orientarsi nel territorio il cercatore esperto accetta il fatto che deve produrre senso di continuo.
L’attitudine dell’uomo a creare senso disegna punti di orientamento tracciandoli sulla mappa, che, per approssimazione, delinea le caratteristiche del territorio. Sfugge sempre qualche dettaglio nel tentativo di definire i confini e i rapporti tra i punti.
Non rimane che accettare la limitatezza propria degli strumenti che l’uomo si è dato per orientarsi!
A me piace narrare l’intreccio di questa limitatezza con il sentirsi spiazzati, indefiniti, incompleti, irrimediabilmente esposti. Questa è la stella polare che, per la maggior parte dell’anno, indica la strada per fare ritorno a casa, per perdersi nella vastità del mondo, a seconda degli scopi che muovono le nostre intenzioni.
Noi siamo cercatori di corrispondenze tra una moltitudine di differenze, in attesa che affinità elettive rendano piena e degna di essere vissuta l’esistenza che abbiamo scelto per noi.
Abbiamo un disperato bisogno di testimoni, di compagni, di alleati, di amici, di aiutanti magici, di lupi, di nonne, di uccellini, come vedremo tra breve…
L’altro è un testimone quando gli consegniamo la nostra storia, solo perché l’ascolti, perché l’accolga in silenzio dentro di sé, perché ci tenga in un cantuccio al caldo e assapori insieme a noi il diritto di esistere dato dal riconoscimento. Questo spazio di esistenza e di possibilità ha un messaggero d’eccezione: il sentire. Profondo o leggero, avventuroso o domestico, dolce o amaro non si può avvicinare se non per via metaforica, alludendo, accostandosi, consapevoli che non si può fare mai centro se il centro è una continua sperimentazione.
E qui ci vuole una storia!
TITOLO: Il falco miope e l’uccellino…(com’è l’uccellino?)
SOTTOTITOLO: Storia di cooperazione tra predatore e preda.
-Chi comincia?
Sperimentarsi nel racconto
Questo è un esperimento giocoso che ho condotto con una mia amica. Ho scelto la mia maschera, la sua e siamo partiti per un viaggio di fantasia, anzi un volo. Ciò che insieme abbiamo creato assomiglia lontanamente alle fiabe di Esopo, ma la morale è taciuta. Le “Nuvole” di Aristofane fanno capolino nella suggestione che mi da questo luogo sospeso, proprio come immagino sia il pensiero quando osserva distaccato il brulicare del mondo e delle sue passioni. Nella commedia, percorsa da un sarcasmo feroce contro Socrate e i sofisti, responsabili secondo l’autore della decadenza dei costumi tradizionali, il dibattito sul Discorso Migliore (personificazione delle virtù della tradizione) e il Discorso Peggiore (personificazione delle nuove filosofie socratiche) è da me intenzionalmente travisato: il dialogo si dipana tra Anima e ombra.
Anche qui l’allusione si coglie solo in un rimando immaginifico, mentre il sentore di una critica ambientale è tutto politico.
Giocare con il senso da libertà espressiva, le interpretazioni le lascio al caso e alle intenzioni del lettore.
Quando ero piccolo, come gran parte dei bambini, vedevo poco mio padre durante la giornata. La sera attendevo con eccitazione la lettura di una fiaba di Esopo. Lui si metteva accanto al letto e prendeva questo antico libro che rendeva i segreti della vita così semplici e comprensibili persino agli occhi miei ingenui ed inesperti. Spesso il sonno sopraggiungeva mentre papà pronunciava la parola “Morale”, esplicativa del senso delle vicende narrate, che, come un comando ipnotico rassicurante, mi incoraggiava ad entrare nella notte buia.
Quando scompaiono i ruoli entriamo inconsapevolmente nel gioco dell’intimità. Io e Tu si confondono. All’inizio sono il Falco, proseguendo mi ritrovo Uccellino e non so come ci sono arrivato ad interpretare questo ruolo. Non so quando, come e perché. Accade che scivoli dentro alla maschera e ti diverti a starci dentro, ti ci accomodi divertito. Ciò è possibile se si sta in contatto con l’altro con una disposizione d’animo empatica. Il sentire s’affaccia e ti trasporta in modo fluido nel mondo che noi stiamo costruendo. Travalicando i confini del tuo Io, stai presso l’altro con piena soddisfazione.
Esercizio: i puntini sospensivi come opportunità
“La gioiosità di un gioco infinito, il suo riso, risiedono nell’imparare a cominciare qualcosa che noi non potremmo finire.” [J. Carse]
Il mio racconto si può dire “completo”, finito, le narrazioni possibili sono pressocchè infinite. L’interlinea orizzontate indica traiettorie per giochi inesplorati. Posso scegliere di percorrere una direzione indicata dal sentire di quel momento, oppure no. In ogni momento si può trovare una porta d’accesso nuova seguendo il proprio desiderio di esplorare una dimensione interessante. L’interlinea è un invito, lì io ho intuito la presenza di ulteriori possibilità. Ognuno può porre la sua interlinea dove più avverte, subodora, intuisce la presenza di una possibile soddisfazione del suo bisogno di chiudere una Gestalt. (leggi anche Il destino, l’autonarrazione e le arance sanguinelle).
Questo può diventare un esercizio. La mia amica ed io, chiacchierando, parlavamo delle intenzioni che stavano muovendo le azioni e le scelte delle nostre maschere. Assomigliava al chiacchiericcio delle lavandaie, un pettegolezzo pieno di affetto verso i nostri personaggi…
Si narra che Marquez lavorasse in soffitta ai suoi romanzi. A volte scendeva dalle scale piangente e rivolgendosi alla moglie sconvolto, diceva: – E’ morto Aureliano!-
Le istruzioni dell’esercizio che vi propongo sono grossomodo queste: leggete il racconto cogliendo il senso complessivo della narrazione, chiedendovi: “Che effetto mi fa?”
Poi accettate l’invito dietro l’interlinea orizzontale che ho posto io. Potreste scovare altre traiettorie, esplorando altri giochi: un dialogo interno, la descrizione del paesaggio, un’osservazione obiettiva, un dialogo diretto con l’altro personaggio, un flashback e via dicendo. Allungate, stiracchiate, tagliate, comprimete, espandete il racconto come se fosse l’impasto per fare il pane.
Allenatevi in seguito a fare delle scelte dettate dal desiderio intimo di dare completezza alla narrazione. Scegliete voi stessi dove porre l’interlinea e continuate a far lievitare l’impasto, fino a quando, secondo voi, è maturo e sa di limone.
Perdonarsi per stare in gioco
Ho una passione per la circolarità. Le cose ben fatte finiscono col principio.
In attesa del perdono Angela scrive le sue lettere e vive la sua vita. Scrivendo scioglie i suoi rimorsi e le sue pene diventano più sopportabili, nel frattempo scorre la quotidianità…
In psicoterapia le lettere vengono aperte subito se le opportunità vengono colte nel momento in cui si presentano, cioè nel qui e ora della relazione.
Lo psicoterapeuta è un testimone oculare di questo processo e un facilitatore del contatto con se stessi. Vissuti che soli è difficile incontrare emergono dallo sfondo e si stagliano in primo piano, diventando figura.
Lo psicoterapeuta, forte del suo metodo, custodisce il processo, curando il fuoco come nelle popolazioni primitive che ancora non avevano appreso una tecnica per accenderlo, ma si affidavano alla combustione spontanea. Stare in questa particolare relazione insegna a darsi rassicurazioni e consolazioni efficaci, quando paure e dolori sopravanzano la nostra capacità di farvi fronte.
Se Angela fosse stata in grado di perdonarsi non avrebbe avuto la necessità di cercare il perdono di Bayardo: Questa è l’invenzione letteraria che mi ha attratto e che, sottotraccia, ha animato il racconto del Falco miope e l’Uccellino.
Ma prima che lo scrivessimo, non avevo a portata di mano quest’interpretazione: le intenzioni si leggono solo dopo che l’esperienza è stata vissuta.
Indicazioni al trattamento: piccoli lutti quotidiani
Il perdono giunge liberatorio solo dopo che si è preso atto di aver commesso una colpa, ci si è sottoposti ad un giudizio, dopo la piena accettazione della pena. Meglio la verità anche se dolorosa… e la colpa nella cultura giudaico-cristiana si espia. Nell’elaborazione del lutto il senso di colpa e l’autoinfliggersi punizioni che ne deriva, giocano un ruolo primario. Il dolore è percepito in assenza di una colpa vera e propria. (leggi anche Tristezza, malinconia o depressione? Impara a distinguerle)
E’ un processo ripetitivo che si autoalimenta lungo tre direttrici di senso: colpa, rimorso e vergogna. La digestione del lutto avviene con movimenti peristaltici: trattenere e lasciare andare l’oggetto d’amore.
Con il dispiegarsi della relazione terapeutica, le sensazioni dolorose vengono scalzate progressivamente dal piacere di stare nel gioco a due. Stando accanto all’altro compaiono i primi sorrisi, ci si accorge di sensazioni gioiose che si espandono nel petto. Le dimensioni del profondo e della leggerezza si integrano nella persona che vogliamo diventare.
Piano piano si rinasce al senso tragico dell’esistenza e si accetta la propria natura finita.
Chi lo poteva immaginare che da una fiaba nata per gioco si giungesse ad una FINE…annunciata!
In foto: Il telaio azzurro della Pegeout, per me, è il più elegante che sia mai stato concepito. Si chiama rondinella e, insieme alle rose potrebbe ispirare il vostro prossimo racconto trasfigurato: La rondinella azzurra e le rose.
Lasciate parlare anche gli oggetti, per gioco e per opportunità.