Alimentazione e vissuti emotivi
L’alimentazione, come tutte le attività umane, si accompagna a dei vissuti emotivi. Se riuscirai a riconoscere le emozioni coinvolte, potrai sviluppare delle alternative comportamentali che ti aiuteranno a non sentirti impotente nei confronti della tua insaziabile fame di vivere.
Lo scopo è chiaro: riconoscere, accettare e sentire queste emozioni senza ricorrere al cibo.
Chi è a dieta ha bisogno di controllare la fame emotiva
Chi è sovrappeso o sta seguendo una dieta per motivi di salute, ha bisogno di rompere un circolo vizioso che grossomodo si presenta sotto questa forma.
Sono triste e ho bisogno di condividere con un mio amico i miei vissuti. Sono a casa solo, non posso parlare con lui che è al lavoro. Così vado in cucina e mangio uno snack ma dopo una momentanea sensazione di piacevole sollievo, mi ritrovo triste di nuovo e in più mi sento frustrato perchè ci sono ricaduto. Ho usato di nuovo il cibo al posto di condividere un sentire. Ho mangiato per non sentire le emozioni, sia positive che negative, che si stavano facendo strada dentro di me.
Riuscirai a scendere da questa giostra quando, prima di cedere al tuo succulento spuntino di metà mattinata, ti chiederai: che cosa sento in questo momento? Cosa sto sentendo mentre provo il desiderio di questo particolare alimento? Come sto, che sta succedendo nella mia vita in questo momento? Sono annoiato e desideroso di stimoli nuovi?
Perchè le diete non funzionano senza un supporto emotivo?
Le diete, in genere, diventano un elemento centrale nella vita di chi le intraprende. Parlarne con amici e familiari, condividerne i progressi o i fallimenti occupa molto spazio nelle conversazioni. Le cadute sono inevitabili in un percorso ad ostacoli. Perchè?
Uno dei motivi è che le persone (non solo gli obesi) soffrono nel tentativo di non mangiare al fine di rendere il proprio corpo conforme alle norme sociali, senza peraltro tenere in opportuna considerazione la propria costituzione fisica.
Con il fallimento di questo progetto vengono l’autorecriminazione, il senso di colpa, la vergogna e gli stati depressivi che sono in relazione con la trasgressione di quelle norme.
É importante, allora, trovare sostegno nel riconoscimento degli altri, quanto stabilire cosa a livello psicologico alimenta questi fallimenti, tanto da farci mandare all’aria i risultati raggiunti con tanta fatica. Questo equivale a sostenersi da soli: riconoscere i propri successi.
I pensieri che sostengono il fallimento: autocritiche ed insulti
Qui di seguito farò una lista di alcuni modi di pensare che più o meno inconsapevolmente ci demotivano mentre stiamo provando a non cedere al fallimento.
- Tutto o niente, bianco-nero: “Se mangio un solo cioccolattino, la mia dieta è fallita.”
- Generalizzazione: Mangio un cioccolattino e penso: “ Sono sempre lo stesso, non dimagrirò mai.”
- Focalizzare l’attenzione sui dettagli negativi: Dopo qualche giorno di dieta ferrea, mangio un cioccolattino e parte l’autocritica: “ Ho mangiato un cioccolattino, ho mandato all’aria i faticosi tentativi di dimagrire dei giorni passati.”
- Sminuire gli aspetti positivi: “Sono riuscito a non mangiare quel cioccolattino… Dopotutto non è un granchè, ci riuscirebbe anche un bambino!”
- Saltare a conclusioni negative: “Ecco ci sono caduto di nuovo: ho mangiato un cioccolattino… che vita disgraziata la mia!”
- Amplificare l’importanza degli eventi negativi: Un amico porta una scatola di cioccolattini, ne mangio uno con lui. Quando se ne va passo tutta la sera a pensare che la mia dieta è fallita.
- Dovere: Usando il verbo dovere ti stai riferendo a norme astratte che non rispettano il tuo essere unico e i bisogni del momento. “Devo mangiare formaggio magro a pranzo!”
Questo è solo un inventario, ovviamente nell’esperienza quotidiana tutto è più sfumato e queste forme di pensiero si intrecciano.
Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei
La fame è il simbolo del voler avere e può diventare un desiderio smodato. L’azione del mangiare è il soddisfacimento di questo appetito. I desideri che ci solleticano tutti i giorni sono tanti e non tutti possono essere soddisfatti. Soprattutto il cibo non può soddisfarli tutti!
Nei cibi che l’uomo mangia o rifiuta si cela una precisa affinità: l’antipatia per un cibo dice molto delle preferenze di una persona. Un “assaggio” dei significati delle preferenze alimentari può essere: se qualcuno ha fame d’amore, nel corpo si manifesta come desiderio di cibi dolci. Ad esempio certi bambini che non si sentono sufficientemente amati, sono golosi di dolciumi. Per chi è a dieta sarebbe interessante indagare quali sono le sue preferenze e che tracce conservano della nostra storia.
Io amo le lenticchie! A questo piccolo legume sono legati dei ricordi molto vividi. Al ritorno dalla scuola mia nonna me le preparava e le riponeva, brodose e fumanti, in una ciotola bellissima di un blu lapislazzulo. Era una donna chiacchierona e piena di energia che manifestava nel frattempo il suo apprezzamento per il nipote affamato. Riesco a recuperare un sacco di esperienze sensoriali nel rievocare questa scena, oltrechè il sentimento di gratitudine per il suo genuino accudimento. Quando mangio lenticchie ancora oggi godo degli affetti familiari, rassicuranti ormeggi nel mare tempestoso dell’esistenza.
Compulsione e azione
Cito dal vocabolario della lingua italiana.
Compulsione: spinta incontenibile a compiere determinate azioni, anche se dannose…
Per non attuare un comportamento dannoso le alternative comportamentali di cui hai bisogno sono lì a portata di mano. Devi prestare loro attenzione però! Una buona dose di coraggio e determinazione ti aiuterà. E’ un esercizio di volontà superare l’inerzia che fa avviare un processo. La scelta di un’azione da compiere da una percezione di controllo sulle tue azioni che alla lunga è molto più piacevole del farsi scegliere da un comportamento compulsivo.
Proprio mentre sto scrivendo arrivo ad un punto morto. Mi blocco, il pensiero mi è sfuggito, non si è tradotto in parola. É molto frustrante! Alzo il viso oltre lo schermo e fantastico un mare blu con i bagliori del sole alto di mezzogiorno. E’ insolitamente caldo per essere metà novembre.
Poco fa guardavo le mie dita mentre fluide piroettavano sulla tastiera, ma ho perso il filo.
Mi alzo, vado in cucina. Avverto un certo languorino, apro il frigo. Appare davanti a me come in una visione un bel pezzo di gorgonzola piccante comprato ieri. Adesso ti mangio! A scrivere ci tornerò dopo. Ma era davvero un languorino?
Diario poetico
Troviamo insieme delle alternative comportamentali che avranno il compito di differire l’impulso a mangiare. Differire cioè rimandare, rinviare, introducendo nella sequenza lineare dei comportamenti una rottura. Ricordi le domande che ti fanno scendere dalla giostra? Ecco dobbiamo trovare un gesto che dia loro corpo, consistenza. Tenere un diario in questi momenti può essere molto utile per non perdere il controllo e finire col mangiare. Ferma la giostra, è un àncora che ti permette di rivolgere l’attenzione a te stesso, ascoltarti e a non agire impulsivamente.
Scegli un taccuino. A me piace molto la moleskine, l’agendina degli esistenzialisti francesi. Prima di scrivere inserisci data e ora. Descrivi il tuo stato d’animo del momento, rispondendo ad una delle domande del secondo paragrafo. Poi lascia un rigo e inventa una metafora. Non importa che abbia un collegamento diretto con il tuo stato d’animo, l’importante è che crei un’immagine che ti permetta di sognare ad occhi aperti. Dopo un paio di giorni rileggi a ritroso il diario e cerca di capire quanto ti ha aiutato, cioè se i tuoi attacchi di fame emotiva si sono dilazionati nel tempo. Cerca di rileggerti con curiosità, potresti scoprire cose di te che suscitano simpatia.
Una citazione a conclusione
Cito Winnicott, uno dei mostri sacri della psicoterapia, perchè la creatività, secondo me, è in un rapporto antitetico alla compulsione.
“E’la creatività, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo ed i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede adattamento. La compiacenza porta con sè un senso di futilità per l’individuo e si associa all’idea che niente sia importante e che la vita non valga la pena di essere vissuta. In maniera angosciante, molte persone hanno avuto modo di sperimentare un vivere creativo in misura appena sufficiente per permettere loro di riconoscere che, per la maggior parte del tempo, esse vivono in maniera non creativa, come imbrigliate nella creatività di qualche d’un altro oppure di una macchina.”
[Op. Cit. Gioco e realtà, Londra 1971]
Buon appetito!