Sfruttare i variabili venti del proprio ambiente, conservando la vigile responsabilità del governo delle vele e del timone, per realizzare ciò che siamo e tracciare il nostro effimero solco sulla superficie dell’oceano, secondo la rotta che noi stessi abbiamo scelto.
Premessa
Nell’approcciare il mondo interno dei miei pazienti ho riscontrato una costante che mi ha posto di fronte ad un problema metodologico. Le prime delicate fasi di una terapia sono caratterizzate da un senso di minaccia alla propria integrità personale perchè lo scopo del trattamento è sacrificare una parte di sè che non va più bene. Questo processo, nelle sue fasi iniziali, ha come effetto un’ansia che può paralizzare compromettendo la presa in carico di un nuovo paziente.
Costruzione di un’alleanza: accoglienza e riconoscimento empatico
Paziente e terapeuta stanno insieme dalla stessa parte e collaborano attivamente, condividendo gli obiettivi di un processo che porterà il paziente a stare bene attraverso l’autoconoscenza.
Quando il terapeuta entra in contatto con un nuovo paziente deve fare in modo che inizi un percorso di apprendimento di un metodo di lavoro che si esprime anche attraverso un linguaggio condiviso. Il terapeuta esprime (a volte sbandiera) questo assunto: “ sono interessato a te per come sei, per questo sono con te”. Ed il paziente che s’identifica con quest’atteggiamento accogliente acquisisce pian piano un’attitudine ad osservare i processi che animano il suo disagio.
Il riconoscimento empatico e la partecipazione emotiva sono porte che fanno accedere alla curiosità per una ricerca su se stessi. Per entrare in questo contatto umano particolare c’è bisogno di un impegno reciproco che in psicoterapia si chiama contratto. Il paziente ha tutto il diritto di essere confuso. Dal canto suo il terapeuta ha il dovere di accogliere questa confusione senza farsi trascinare dalla corrente, rimanendo abbastanza saldo al timone e al contempo disponibile a cambiare direzione. La rotta è indicata dal paziente, dalle sue inclinazioni, dalle sue capacità e dalle sue idiosincrasie.
Salpiamo! Mi guida l’immagine di un nocchiero che affronta la tempesta insieme al compagno di vascello senza perdere il senso dell’orientamento. Presto o tardi arriverà il momento in cui fianco a fianco troveremo il modo di stare nell’occhio del ciclone.
La diagnosi fenomenologica
La diagnosi in psicoterapia della gestalt è una rappresentazione viva di come l’essere umano organizza l’esperienza dandogli senso.
Come “funziona” all’interno del suo ambiente di vita? E come si è interrotto il suo flusso di esperienze per sentire il bisogno di entrare in terapia? Come me lo comunica? Che risorse ha? Cosa desidera per sè? Come orienta la sua attenzione?
In altre parole l’interazione diretta, che è peculiare della psicoterapia della gestalt, è costantemente una dia-gnosis cioè una conoscenza che si costruisce in due. Questo progressivo svelamento è dialogico e “…passa in primo luogo per le incongruenze riscontrabili nel comportamento della persona e per l’effetto che fanno allo psicoterapeuta, il quale può capire per via empatica, cioè ponendosi nei panni dell’altro, cosa sta succedendo nel suo mondo interno.” ( cit. da Giovanni Paolo Quattrini in “La diagnosi nella psicoterapia della Gestalt”).
Il caso di studio
I sintomi più comuni di una diminuita vitalità
L’ansia e gli stati depressivi sono due dei sintomi più comuni che portano le persone in terapia, e che hanno come correlato fisiologico una respirazione interrotta e veloce. Un senso di oppressione al petto e la sensazione di un diaframma contratto vengono sperimentati a livello cosciente come un malessere diffuso che diminuisce le funzioni vitali. Una volta consolidato un rapporto di fiducia reciproca mi avvalgo di Tecniche che potenzino l’attenzione ai processi corporei, capacità che è il biglietto d’ingresso per il lavoro gestaltico sulla consapevolezza.
Esercizio di respirazione
… Mettiti comodo e chiudi gli occhi o, se preferisci, rivolgi lo sguardo verso il basso…porta l’attenzione sul tuo respiro…prenditi un momento per notare i suoni che senti nell’ambiente circostante…avverti i punti d’appoggio del tuo corpo sulla poltrona…
Fai caso alla tua postura…consentendo al tuo corpo di stare eretto e vigile, ma rilassato.
Fai alcuni respiri lenti e profondi, rivolgendo l’attenzione ad ogni tensione superficiale da cui è possibile liberarsi. Nell’inspirazione fai esperienza delle tensioni che abitano il tuo corpo. Nell’espirazione, prova a percepire il lasciarsi andare, abbandonandoti all’espirazione.
Adesso lascia che il tuo corpo ritorni alla respirazione naturale, in qualunque modo sia naturale per il tuo corpo…. Non c’è un modo giusto o sbagliato di respirare, porta semplicemente l’attenzione all’esperienza, a come il tuo respiro va e viene come un’onda.
Trova un punto in cui puoi sentire facilmente il movimento del respiro…lascia che l’attenzione resti lì…con questa inspirazione…con questa espirazione. Potrebbe essere l’aria che entra e esce dalle narici…o l’alzarsi e l’abbassarsi del torace o dell’addome…o l’intero movimento del respiro nel corpo…
State un po’ con la percezione del respiro che muove il vostro corpo…
Facendo ciò, noterete che nonostante l’intenzione di rimanere attenti a questo processo, la vostra attenzione viene distratta. Potreste essere portati via da pensieri, ricordi, fantasie, progetti per il futuro… Quando vi rendete conto che la vostra attenzione ha lasciato il respiro, potete notarlo e gentilmente riportarla indietro… Il respiro è una casa a cui potete sempre fare ritorno…
Per quanto vi è possibile, abbandonate i giudizi e l’impegno. É naturale che la mente vaghi e sia attiva, specialmente quando iniziate la pratica…La pratica consiste nell’essere il più possibile presenti al proprio corpo, con l’esperienza di sedersi e respirare…
Quando aprite gli occhi, prendetevi qualche momento per restare con l’esperienza della percezione del vostro corpo, semplicemente
Training Autogeno
Questo metodo è il cugino della meditazione e dell’ipnosi. Essenzialmente il rilassamento muscolare profondo che si raggiunge con la pratica è propedeutico al lavoro sulla consapevolezza.
É particolarmente efficace in casi in cui l’attivazione fisiologica dovuta all’ansia e allo stress porti a problematiche psicosomatiche. Alcuni esempi di queste problematiche somatiche sono: emicrania, disturbi della pelle, disturbi sessuali, disturbi gastrointestinali.
É un metodo che una volta appreso e consolidato può essere messo in pratica in modo autonomo e in qualunque luogo si scatenino i sintomi di cui soffrite. É controindicato in presenza di patologie quali depressioni o stati psicotici e quando il soggetto ha sofferto di patologie cardiache nei precedenti sei mesi.
Questa pratica ha bisogno di una fiducia ancora più salda nel terapeuta perchè ritengo che la posizione da sdraiati sia la più efficace, posizione in cui potremmo sentirci particolarmente vulnerabili. Ne ho dato cenno nell’articolo sull’insonnia che trovi in questo blog.
Fantasie guidate
Le fantasie guidate assomigliano alle tecniche precedenti perchè consentono di rivolgere l’attenzione alla consapevolezza corporea.
Nello specifico s’introducono degli elementi suggestivi che creano un contesto fantastico di sperimentazione del proprio corpo e delle sue emozioni. L’immaginazione viene attivata mediante frasi evocative.
La narrazione creata dal conduttore permette, per esempio, di immergersi in una situazione particolare o di collocarsi dentro uno scenario diverso da quello attuale. Le metafore e gli scenari prescelti sono i più disparati, limitati solo dalla fantasia del terapeuta e del paziente.
La sorgente, il giardino, una passeggiata nella foresta sono potenti attivatori di risorse interne. Il bello di questi archetipi è la loro ambivalenza: ognuno di noi con la stessa immagine può evocare scenari differenti, creati a partire dalla propria interpretazione soggettiva.
Il mare può essere sperimentato come un luogo di pace ristoratrice e di solitudine o può essere il luogo dove si scatena una tempesta emotiva. Inoltre questa tecnica è utile a sperimentare, in modo metaforico, quanto sia dinamico il proprio sentire.
Confronto finale, restituzione: ciò che è emerso che effetto ti ha fatto?
Studi recenti suggeriscono che le visualizzazioni favoriscono il rilassamento, i processi di guarigione e alleviano lo stress. I cambiamenti e le soluzioni sperimentati durante le visualizzazioni possono consolidarsi nello stato di veglia. Infatti per il cervello immaginare un’azione o compierla sono pressocchè la stessa cosa.
Al termine della sessione dedicata ad una di queste tecniche c’è una condivisione di come è andata l’esplorazione e se è emersa una nuova consapevolezza.
A volte ci si meraviglia delle comprensioni che si realizzano in una sessione attenuando il senso di minaccia incombente. Comprensioni che erano lì a portata di mano e che sono emerse grazie al senso d’integrazione psico-corporea data da queste tecniche.